“Sei nato nascosto in una grotta, ma il cielo ti ha annunciato a tutti, usando come bocca la stella, o Salvatore”: questa antifona della liturgia bizantina ci invita a riconoscere che l’Epifania del Signore è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che ha guidato a Betlemme i Magi, misteriosi pellegrini venuti dall’Oriente (cf. Mt 2,1-12). La luce di Cristo, “sole che sorge dall’alto” (Lc 1,78), si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. Anzitutto avvolge Maria e Giuseppe, poi inonda i pastori, i quali accorrono “senza indugio” a Betlemme per vedere l’avvenimento che il Signore ha fatto conoscere loro. Infine, il fulgore di Cristo raggiunge i Magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede”. Restano in ombra, invece, i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del re dei Giudei suscita sconcerto e turbamento.
I Magi, guidati dal “satellitare” della luce di una stella, compiono un lungo cammino, dall’Oriente fino a Gerusalemme. Forse nella Città santa “non c’è campo” e così essi, “assetati d’infinito”, non esitano a chiedere: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?” (Mt 2,2). La loro domanda turba Erode, il quale riunisce i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo per conoscere il luogo “in cui doveva nascere il Cristo”. Ottenuta la risposta, Erode chiama segretamente i Magi per farsi dire da loro “con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme”, esortandoli a tenerlo informato, ma dissimulando le sue perverse intenzioni. I Magi, senza indugio, riprendono il cammino, ritmato dal battito dei loro cuori, dal movimento sistolico della ricerca del re dei Giudei e da quello diastolico del desiderio di adorare il Signore. Con grande meraviglia vengono scortati di nuovo dalla luce della stella, che si ferma “sopra il luogo dove si trovava il bambino”.
“Al vedere la stella” fermarsi sopra una casa la loro gioia divampa e li spinge a entrare. Trovano “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11). Un profondo stupore fa da colonna sonora ai loro gesti: si prostrano in adorazione e, aprendo gli scrigni, offrono i loro doni, “simboli profetici di segreta grandezza”. Giuseppe non compare nella scena: forse si è fatto da parte per sottrarsi al solenne omaggio dell’adorazione, riservato a Gesù bambino, che inizia e termina in silenzio, quando i Magi fanno ritorno al loro paese “per un’altra strada” (Mt 2,12). Essi, “uomini della meraviglia”, scompaiono con la stessa discrezione con cui sono apparsi all’orizzonte della storia della salvezza. “Oggi i Magi – scrive san Pietro Crisologo – considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e Colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpo”.
L’Epifania svela una dimensione perenne e costitutiva del disegno di Dio: “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3,6). Se Maria, Giuseppe e i pastori di Betlemme rappresentano il popolo d’Israele che ha accolto il Signore, i Magi sono invece le “avanguardie” dei gentili, convocati a far parte della Chiesa, nuovo popolo di Dio, in cui trovano compimento le antiche profezie. “Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme –, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). L’Epifania del Signore è, per così dire, il “preludio” della Pentecoste, manifestazione della Chiesa che, quale mistero di luce riflessa, ha la missione di far risplendere nel mondo Colui che è Lumen gentium. Egli, “Verbo fatto carne”, è la meta finale della storia, il punto di arrivo di un provvidenziale cammino di redenzione che culmina nel Mistero pasquale. È per questo motivo che, immediatamente dopo la proclamazione del Vangelo, viene dato l’annuncio del giorno di Pasqua
La solennità odierna invita la Chiesa ad imitare il servizio che la stella ha reso ai Magi, guidandoli fino a Gesù. La loro “sete di infinito”, alimentata dalla salutare inquietudine di una “profonda nostalgia di Dio”, ha sovrastato l’umana paura di cedere per la stanchezza del viaggio iniziato da molto lontano. Forse, varcando la soglia della casa in cui li attendono Maria e il bambino, avranno imitato Mosè il quale, sull’Oreb, si è tolto i sandali e si è coperto il volto (cf. Es 3,1-6). La Liturgia delle ore, in un’antifona del tempo di Natale, pone sulle labbra della Chiesa un’invocazione che stabilisce un vero e proprio gemellaggio tra l’Oreb e Betlemme. “Come il roveto, che Mosè vide ardere intatto, integra è la tua verginità, Madre di Dio: noi ti lodiamo, tu prega per noi”.
+ Gualtiero Sigismondi