Era l’ora del vespro quando giunge improvviso dal cielo un grande fragore, “quasi un vento che si abbatte impetuoso” (cf. At 2,1-2), che riempie “la stanza al piano superiore” (cf. At 1,13) in cui è presente Maria, la Madre di Gesù, insieme agli apostoli, “perseveranti e concordi nella preghiera” (cf. At 1,12-14). Su di loro si posano “lingue come di fuoco” e, colmati di Spirito santo, “cominciano a parlare in altre lingue” (cf. At 2,3-4). Era la stessa ora, quella vespertina, quando i discepoli di Emmaus riconoscono il Signore nella frazione del Pane (cf. Lc 24, 29-31). Come al sorgere dell’aurora la luce pasquale inonda di vita il mondo intero, così al crepuscolo, lo Spirito rinnova tutta la terra. È un singolare “lucernario” quello che accade al compiersi del giorno della Pentecoste; si tratta di un “lucernario” che introduce i discepoli nella grande veglia della storia, quella che affretta nella speranza l’attesa del ritorno glorioso del Signore; si tratta di un “lucernario” che orienta la Chiesa nel mare del mondo, rivolgendo al Signore la stessa supplica che gli Edomiti pongono a Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21,11).
Questa domanda non ha perso la sua efficacia in un tempo “segnato da dure prove e stimolanti avventure”. Il lockdown ha provocato anche un blackout pastorale, oltre che sociale ed economico; sulla brace dell’evangelizzazione, tenuta accesa dallo Spirito santo, il coprifuoco ha gettato molta cenere. C’è, infatti, chi ha rinunciato a priori a fare dell’imprevisto una risorsa, aspettando passivamente il ritorno alla normalità, alle cose di prima, così come si sono sempre fatte. C’è pure chi, chiuso in una sorta di “arca di Noè”, si è limitato ad attraversare il sagrato con la mascherina ben calzata, senza immaginazione creativa. C’è anche chi è entrato nella “rete” dei blog e dei social network privo dei dispositivi di protezione, ignaro della “carica virale” insita nelle loro potenzialità. C’è persino chi, improvvisandosi “virologo”, ritiene che il “vaccino” più efficace per il Corpo ecclesiale non abbia bisogno del “richiamo” sinodale. Al contrario, c’è chi si lascia ammaestrare dalla “scuola della Parola” e dalla lezione dei “segni dei tempi”, riscoprendo nella domus Ecclesiae l’ambiente vitale della trasmissione della fede. Stimolante, al riguardo, è l’immagine evocata dall’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, in occasione della festa di Sant’Ambrogio dello scorso anno. “Il profeta Geremia, mentre si profila la caduta di Gerusalemme e la deportazione del popolo, firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento sul futuro (cf. Ger 32,1-15). Ognuno, per quello che può e secondo le proprie responsabilità, deve comprare un campo, cioè deve avere la responsabilità di una visione, i cui tratti fondamentali sono la famiglia, cellula che genera la società e il suo futuro, e il compito irrinunciabile dell’educazione di grande qualità”.
Nelle circostanze attuali, tanto difficili quanto gravide di attese, occorre fare un investimento sul futuro, aprendo strade nuove alla pastorale familiare, che il tempo di prova e di verità della crisi pandemica ha fatto venire meglio alla luce. La trasmissione della fede, infatti, ha la sua “natività” in famiglia, scuola primaria di evangelizzazione, come documenta l’esperienza compiuta da Paolo a Corinto nella casa di Aquila e Priscilla (cf. At 18,1-11). È necessario, pertanto, prendersi cura delle famiglie, in particolare quelle “in allestimento” e “in difficoltà”, “assalite da preoccupazioni che rischiano di paralizzarne i progetti di vita” e di compromettere la “sostenibilità generazionale”. L’Anno “Famiglia Amoris laetitia” si offre, dunque, come momento favorevole per avviare, “senza restare nell’ambito dell’emergenza e del provvisorio”, questo decisivo investimento pastorale, che l’inverno demografico, “freddo e buio”, non consente di rinviare.
Come tutte le crisi, anche quella provocata dalla pandemia costituisce un’opportunità per ripensare la presenza e la missione della Chiesa. “Essa – osservava il card. Joseph Ratzinger – necessita, da una parte, di flessibilità per poter accettare i cambiamenti di ordine sociale e culturale oggi in atto e per potersi liberare dei condizionamenti in cui si trova. Dall’altra, le è ancora necessaria la fedeltà (…) per conservare l’uomo aperto verso l’alto, verso Dio”. Flessibilità e fedeltà sono doni dello Spirito paragonabili, rispettivamente, al vento e al fuoco: l’uno ricorda il “soffio primordiale” (cf. Gen 2,7), l’altro richiama il Sinai “tutto fumante” (cf. Es 19,18). La brezza dello Spirito ravvivi la fiamma della comunione e faccia un rogo solo di tutte le “restrizioni” che impediscono di ascoltare, in questo kairos, un forte invito al rinnovamento, terra fertile e incolta della speranza.
+ Gualtiero Sigismondi