“Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra Cena”. Mi affido a queste parole della Sequenza della Messa del Corpus Domini per trovare un punto di appoggio. Come durante l’ascensione faticosa verso la vetta d’una montagna, l’alpinista arresta un istante il suo passo per riprendere fiato e per rendersi conto del panorama che si apre davanti al suo sguardo, così anch’io ho bisogno della “nobile semplicità” di questa celebrazione per entrare “in spirito e verità” nel clima della solennità del Corpus Domini, istituita da Papa Urbano IV con la bolla Transiturus de hoc mundo – promulgata a Orvieto l’11 agosto 1264 –, che esprime in profondità teologica quanto la Sequenza traduce in sapienza poetica.
Celebriamo uno dei più grandi Misteri della fede, quello del Corpo e Sangue di Cristo, donati a noi come Cibo e Bevanda spirituali. Il Vangelo appena proclamato riporta il racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia, avvenuta durante l’ultima Cena “in una grande sala, al piano superiore, arredata e già pronta” (Mc 14,15). L’evangelista indugia nell’indicare alcuni particolari del Cenacolo, che ritroviamo nel nostro Duomo: anch’esso si configura come una grande sala, posta al piano superiore, sulla Rupe. L’armonia della facciata presenta le caratteristiche di un reliquiario che custodisce il tessuto marmoreo del rosone: visto dall’esterno sembra un ricamo; guardato dall’interno appare come un intarsio di luce, che si irradia a partire dal volto di Cristo, Lumen gentium. Varcando il portale del Duomo le labbra sono costrette a cedere la parola al silenzio, mentre gli occhi, naufraghi nella vastità dell’aula liturgica, vengono spinti dalle colonne a fissare la vetrata quadrifora dell’abside, che getta sulla croce, sin dallo spuntare dell’aurora, la sua ombra luminosa.
La lunga prova della pandemia, sebbene abbia impoverito il nostro Duomo di pellegrini e di turisti, tuttavia ha restituito a questo tempio il respiro del profondo silenzio, che tutti noi, custodi del “messaggio di Orvieto”, abbiamo la responsabilità di amplificare con l’adorazione eucaristica. Diversa è l’accezione che il termine “adorazione” ha in greco e in latino. La parola greca proskynesis indica il gesto della sottomissione, dell’abbandono alla fedeltà di Dio; il vocabolo latino ad-oratio significa contatto bocca a bocca, bacio. “L’adorazione – osserva Romano Guardini – non è qualcosa di accessorio (…). Attraverso di essa l’uomo riconosce ciò che vale in senso puro, semplice e santo”. Adorare è mettere il Signore al centro della vita per compiere un vero e proprio esodo dalla schiavitù più grande, quella di se stessi. Adorare è scoprire che la gioia e la pace crescono con la lode e il rendimento di grazie. Adorare è andare all’essenziale, è ricerca dell’unum necessarium.
Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’Altare, si impara a riconoscerlo soprattutto nel volto di coloro con i quali ha voluto identificarsi (cf. Mt 25,35-36). “Adorare – afferma Papa Francesco – è riscoprirci fratelli davanti al mistero dell’amore che supera ogni distanza: è attingere il bene alla sorgente, è trovare nel Dio vicino il coraggio di avvicinare gli altri”. Se perdiamo il gusto dell’adorazione eucaristica smarriamo il senso della vita cristiana, che è un cammino verso il Signore, come quello compiuto dai Magi i quali, “assetati d’infinito”, si prostrano a terra davanti a Gesù bambino e a sua Madre, aprono i loro scrigni e offrono in dono se stessi nei simboli dell’oro, dell’incenso e della mirra (cf. Mt 2,11). Alla scuola dei Magi si apprende che l’offerta di sé ha il profumo e la fragranza del pane spezzato, come quello eucaristico.
Nel braccio di destra della crociera di questo Duomo si trova l’altare dedicato all’Adorazione dei Magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede”. Questa collocazione ha valore di segno per i turisti i quali, a differenza dei pellegrini, si affrettano a visitare la Cappella nova, i cui affreschi raccontano quello che fa l’Eucaristia: “Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). L’Adorazione dei Magi invita a volgere lo sguardo dall’altra parte, verso l’altare dedicato alla Visitazione, che introduce nella Cappella del Ss. Corporale, la quale custodisce viva memoria del “Miracolo di Bolsena”.
Fratelli e sorelle carissimi, nella solennità del Corpus Domini siamo chiamati a fare un serio esame di coscienza sulla missione a cui la nostra Chiesa particolare non può rinunciare: impegnare tutto il suo fervore per ravvivare lo “stupore eucaristico”, di cui è impregnato questo Duomo, universalmente ammirato come “icona mariana” fuori scala.
+ Gualtiero Sigismondi